Confindustria: ’’Pil in frenata: +0,9% nel 2019.’’. Tria: ’’Calo debito concordato con la Ue’’

    Cattive notizie quelle diffuse dal Centro Studi di Confndustria sulla situazione economica italiana. Contrariamente a quanto prospetta l’attuale governo, secondo l’istituto la crescita del Pil si fermerà “all’1,1% nel 2018 e allo 0,9% nel 2019” e dunque in “ribasso di 0,2% punti” per entrambi gli anni rispetto alle previsioni stilate a giugno. A pesare sarebbe, secondo il capoeconomista Andrea Montanino, non solo l’aumento dello spread, ma anche “l’incertezza” sulla “capacità del Governo di incidere sui nodi dell’economia” e sulla “sostenibilità del contratto di Governo” che causa “meno fiducia degli operatori”.?Il ministro dell’Economia Giovanni Tria, ospite di Confindustria, ha spiegato che è necessaria una “strategia di politica economica diretta a conseguire una crescita più sostenuta e ridurre il gap di crescita che l’Italia ha avuto con il resto di Europa nell’ultimo decennio. Abbiamo bisogno di una crescita vigorosa, ed allo stesso tempo di una maggiore resilienza – ha detto, sottolineando che serve – uno stimolo di crescita endogeno, con un mutamento profondo delle strategie economiche e di bilancio” rispetto al passato. Un “rilancio investimenti è una componente cruciale”, ha aggiunto. Tria ha quindi ribadito che il governo è impegnato a ridurre il debito costante verso l’obiettivo concordato con l’Europa. Il ministro ha quindi posto l’accento sul tema degli investimenti rimarcando l’importanza della Cassa depositi e prestiti. “Nel rispetto dell’azione privata delle società quotate credo debba dare un contributo nell’ambito degli investimenti già previsti e se questo avverrà darà una forte spinta”, ha spiegato.  “Nei prossimi tre anni attiveremo altri 15 miliardi addizionali d’investimenti pubblici”, ha aggiunto. Poco prima era intervenuto il vice premierLuigi Di Maio:  “Il governo non torna indietro: chi si illude, come il Centro Studi di Confindustria, sappia che si sta facendo una cattiva idea. Nella manovra ci saranno tutte le misure previste dal contratto”, aveva detto parlando alla Camera. ?Secondo il Csc nemmeno l’aumento del deficit al 2,4% potrebbe bastare per realizzare quanto previsto dal Contratto di governo. Per gli economisti di Confindustria “l’aumento del deficit” previsto dal Governo “è poca cosa rispetto agli impegni politici assunti: se le coperture non saranno ben definite – avvertono – si rischia ex post un rapporto deficit/pil più alto”. Per il CsC “l’aumento del deficit serve per avviare parti del contratto di Governo di sostegno al welfare”, come su reddito di cittadinanza o pensioni, poi “molto difficili da cancellare se non in situazioni emergenziali. Ciò potrebbe portare a più tasse in futuro e ad aumentare il tasso di risparmio già oggi”.?Da Confindustria arriva quindi un invito alal cautela in tema di previdenza e in particolare a “Non smontare le riforme?pensionistiche perché ciò renderebbe necessario aumentare il prelievo contributivo sul lavoro. Se il meccanismo di ’quota 100’, per permettere l’anticipo della pensione, venisse introdotto, – avverte Confindustria andrebbe invece nella direzione opposta”.?Tornando al quadro macroeconomico le prospettive sembrano più fosche anche di quanto ipotizzato dal governo precedente in primavera. Secondo il Csc  il deficit pubblico è stimato in calo all’1,8% del Pil nel 2018, dal 2,4% nel 2017 che include una componente una tantum legata ai salvataggi bancari. Questo risultato “è peggiorativo rispetto ad quanto immaginato dal governo uscente ad aprile, che stimava per il 2018 un rapporto deficit/Pil all’1,6% nel 2018”. Nel 2019 il deficit tendenziale è previsto dal Cs intorno al 2% del Pil, che incorpora il mancato aumento dell’Iva. Sempre senza incorporare le misure del governo, il debito si attesterà invece al 130,9 per cento nel 2018 e al 130,7 nel 2019, un livello che resta molto alto.?Il Centro studi è scettico anche su un’altra delle misure cardine del contratto di governo. “L’introduzione di una flat tax potrebbe semplificare l’imposta sul reddito personale, ridurre i costi di adempimento, far aumentare la compliance e sarebbe più razionale”, si sottolinea. “Va tenuto però conto che i risultati di simulazioni del Csc indicano che è improbabile che il passaggio ad una quasi flat tax si autofinanzi con i proventi della maggiore crescita indotta”.?Secca bocciatura anche per il condono ipotizzato dal governo con il nome di “pace fiscale”.  “L’utilizzo regolare del condono fiscale finisce per creare problemi all’erario, compromette le entrate future aumentando il rischio di dover adottare misure una tantum anche negli anni successivi: un circolo vizioso in cui l’autorità fiscale perde il controllo di una parte delle entrate”. Lo scrive il centro studi di confindustria nel nuovo rapporto in considerazione della pace fiscale allo studio per la legge di bilancio.?